RIVISTA INTERNAZIONALE di EDAFORUM
ANNO 3/ N. 12 - 30 Ottobre 2008 - Eda e Metodologie didattiche innovative
 

INDICE

 

 

 

 

MONOGRAFICO

Il metodo autobiografico nella scuola per la formazione di insegnanti e alunni.

di Angela Muschitiello

PREMESSA

Con il presente contributo intendo operare una riflessione sull’uso del metodo autobiografico nella scuola per far emergere la grande validità che esso possiede ai fini della formazione educante1 degli insegnanti e degli alunni.  Tale  metodologia permette infatti di dar vita ad un dialogo veramente educativo tra insegnante e studente perché capace di sviluppare un loro pensare condiviso dentro il quale ottenere una ridefinizione dei significati delle conoscenze trasmesse e del senso del proprio compito formativo. Rilevante pertanto è in tal senso la figura  dell’insegnante biografo, che descrivo nell’ultima parte del lavoro soffermandomi sulle competenze che tale figura deve possedere per  favorire la formazione dei propri

IL METODO AUTOBIOGRAFICO: DA FORMAZIONE A EDUCAZIONE

Se da diverso tempo si parla dell’approccio autobiografico in educazione e i motivi teorici, filosofici, epistemologici di questo approccio sono stati elaborati, la riflessione sul metodo è ancora per molti versi da approfondire.
La parola “autobiografia” infatti, non identifica solo un genere letterario ma rinvia anche ad una metodologia che si avvale oggi, dopo vent’anni di studi ed esperienze internazionali2, di teorie, strategie e strumenti destinati alla crescita e alla cura di sé e degli altri. Quella autobiografica è infatti una vera e propria metodologia di formazione che prima di sviluppare conoscenze e competenze su qualcosa, mira a sviluppare conoscenza di sé. Essa è pertanto oggi sempre più applicata nei percorsi di  educazione degli adulti impegnati in processi di formazione formale e/o non formale, nell'ambito di contesti educativi assai diversi per utenza, finalità, struttura (università, scuola, lavoro, promozione delle culture locali e del benessere, ecc.).
Raccontarsi permette infatti all'adulto di scoprire di avere una storia, di chiarire a se stesso e quindi ri-apprendere le ragioni del proprio percorso personale e professionale, dei propri successi e insuccessi, e di rendersi conto che tutto ciò che è stato vissuto consapevolmente e inconsapevolmente ha influenzato il proprio modo di fare, agire, pensare, comportarsi. Ciò costringe coloro che sono coinvolti in tale percorso a ricercare nella ricostruzione del proprio passato il significato e l’importanza del proprio essere presente. Tale processo di ricostruzione non è però semplice e naturale ma provoca spesso sofferenza e fatica  personale e  umana perché mette a nudo domande irrisolte, scelte sospese. Ma proprio questo tipo di fatica produce risultati in termini di educazione della persona, obiettivo caro alla pedagogia. Ricostruendo la propria storia ci si appropria, infatti, di essa, si prende coscienza di ciò di cui si necessita, dei propri limiti e dei propri bisogni educativo/formativi. 
Nell'ambito di un percorso di formazione, dunque, prima ancora che entrino in gioco i contenuti è il percorso autobiografico stesso ad essere formativo poiché immerge la persona nella sua maturescenza indicata da Demetrio come crescita di sé rispetto alla propria storia personale e al proprio migliorare interno.3 Ed è per questo che, secondo l'autore, il metodo autobiografico declina la formazione in educazione4.
In questa prospettiva, la scrittura di sé, costruita attraverso il rimpasto di "frammenti" relativi a diversi livelli autobiografici, è un invito a ricostruire quelle traiettorie apprenditive che, meglio di ogni altra strategia educativa, fanno scoprire le persone adulte come attori e registi del loro stesso apprendere e operare, sottraendole così allo smarrimento che deriva inevitabilmente dalla distruzione dell'esperienza composita della vita. Conoscere se stessi per costruire la propria personalità e i propri apprendimenti, questo è il senso della formazione autobiografica.5
Da un punto di vista strettamente formativo/professionale, quindi, la autobiografia è utile a sviluppare nei soggetti adulti l’attitudine a riflettere sul personale modo di  generare e padroneggiare le proprie competenze e la consapevolezza della propria capacità di gestirle, combinarle, sceglierle. Tale rafforzamento nella percezione della propria competenza professionale, permette ai soggetti coinvolti in un percorso formativo/professionale di riacquistare o consolidare la fiducia nelle proprie potenzialità e di rivalutare l'importanza del proprio ruolo umano oltre che professionale all'interno del contesto lavorativo nel quale operano determinando un miglioramento della motivazione e della dedizione per il proprio lavoro. Questo favorisce lo sviluppo e la capacità di padroneggiare situazioni, attivare metodologie.
Attraverso il metodo autobiografico, pertanto, se da un lato permane il valore professionalizzante della formazione come spazio di acquisizione di conoscenze e competenze, è al contempo vero che essere in formazione diviene, una via per prendersi cura di sé tra ragione, emozioni e sensazioni di esistere e di esserci in modo poi da impostare in modo diverso anche  la relazione con gli altri oltre che con se stessi. L’aspetto che qui più ci interessa è quindi in particolare, l’innesto pedagogico che tale pratica produce, proprio attraverso il dispositivo della “cura di sé” che Foucault6 riconosce come centrale nelle filosofie stoiche, ma che proprio la nostra attualità (legata a un individuo più fragile, più problematico in sé, più alla ricerca di se stesso) viene a riproporre come centrale. E’ stata proprio l’educazione degli adulti a riaffermare, con la “cura di sé” il valore dell’autobiografia come metodo formativo, assegnandole un ruolo-cardine nella costituzione di ogni “adultità” personale (si è soggetti-persone se ci si fa consapevoli di sé, quindi della propria storia vissuta, quindi del proprio percorso biografico, che deve essere però ripensato auto-biograficamente) e, insieme, nella formazione dei formatori, di quei soggetti che, per professione, devono “prendersi cura” di altri soggetti, esercitando su di essi un “potere”, attraverso il “sapere” e l’agire e che devono essere, per stare nella cura della libertà degli altri, liberati il più possibile (e per quanto possibile) da pregiudizi, condizionamenti, etc. che vengono dal proprio vissuto e che, spesso, troppo spesso, operano come degli “impensati” (dogmi, certezze, norme) nella coscienza dei formatori.
Ma proprio per queste sue caratteristiche il metodo autobiografico è particolarmente utile nel percorso scolastico poiché rappresenta uno strumento importante di formazione educante non solo degli alunni ma anche e soprattutto degli insegnanti che per “aver cura” dei propri alunni devono essere in grado di mettersi in gioco nella relazione con l'alunno senza perdere il loro ruolo di formatori.

PARTIRE DA SÉ PER SVILUPPARE L’APPRENDIMENTO: L’AUTOBIOGRAFIA PER GLI ALUNNI

Applicato al contesto scolastico, il metodo autobiografico, scardina il modello tipico del fare formazione a scuola, modello che individua soltanto nel formatore il detentore della conoscenza, promuovendo di contro un riequilibrio del sapere - potere all’interno del processo formativo. L’insegnante deve infatti partire dal presupposto che anche l’alunno possiede un sapere spendibile che è il sapere su di sé e deve orientare l’intervento formativo in modo da spronare l’alunno non solo a recuperare questo sapere ma anche a viverlo e sentirlo come valido e significativo. E’ questa la cosiddetta potenzialità emancipatrice7 del metodo autobiografico: esso comporta l’investimento sulle possibilità autoformative del soggetto affinché sia quest’ultimo a portare avanti il proprio percorso di crescita.
Tale investimento è tanto più necessario a scuola dove compito dell’insegnante non è più solo quello di trasmettere contenuti ma di occuparsi anche della maturazione personale degli studenti. Se gli insegnanti, infatti, sono in grado di stimolare adeguatamente gli alunni al lavoro autobiografico, sollecitandoli a ripercorrere la propria storia formativa, permettono loro di riflettere sui fattori (familiari, personali, sociali, ambientali, ecc) che influenzano la loro motivazione ad apprendere, i propri meccanismi di acquisizione di conoscenza, le proprie potenzialità, risorse e limiti.  Il metodo autobiografico dunque, agevolando la ricostruzione sul che cosa si è appreso, consente di riflettere anche sul come si è appreso per poi progettare, a partire da queste riflessioni, gli apprendimenti futuri. In tal modo gli studenti diventano padroni del proprio sapere e riescono anche a dare nuovo senso e nuovo valore al particolare momento di crescita fisica, psicologica, cognitiva che attraversano durante il percorso scolastico.  L’esperienza della scolarizzazione, infatti, per una bambina e un bambino è un profondo cambiamento. Soprattutto nel passaggio dalla scuola elementare alla  media, l’alunno vive la dicotomia tra il bambino che non è più e l’adolescente che non è ancora, e si trova immerso nel conflitto tra desiderio di dipendenza e ricerca di autonomia con tutte le contraddizioni che da esso derivano. Gli insegnanti devono essere capaci di inserirsi efficacemente in questo particolare momento del loro percorso di crescita e cambiamento che propone conflitti, dilemmi, contrapposizioni, scelte e pertanto richiede la presenza di figure adulte di riferimento in grado di mediare e supportare i ragazzi e di stimolarli alla riflessione e alla conoscenza di sè8. Questa mediazione  non può essere ricercata dagli insegnanti nell’ambito delle normali metodologie didattiche di trasmissione o nelle operazioni di verifica finali (voti o giudizio, commissioni esaminatrici interne o esterne che sono attività legate ad una concezione della scuola come semplice trasmettitrice di nozioni) generalmente utilizzate a livello scolastico, ma deve essere pensata e articolata nel nucleo portante del farsi della relazione educativa alunno – insegnante. E’ una relazione che deve essere, di tipo qualitativo, cioè caratterizzata da coinvolgimento reciproco, compromissione in senso umano, comprensione delle dinamiche di piacere/dispiacere implicite e determinanti nell’apprendere e nell’imparare9. L’uso della metodologia autobiografica è molto utile in tal senso, perché favorisce l’incontro insegnante-allievo non solo sotto l’aspetto culturale formativo ma anche personale e umano, predisponendo lo studente ad aprirsi e a mettersi in discussione. In tal modo l’insegnante potrà stimolare più facilmente la mente, la curiosità e la motivazione ad apprendere dell’alunno e portarlo a sviluppare una metariflessione sui contenuti che gli sono trasmessi e sul senso che essi hanno per lui e per il suo futuro trasformando così il contenuto in conoscenza.   E’ questo il valore educativo dell’uso del metodo autobiografico a scuola: valorizzare l’alunno nella totalità della sua personalità e sviluppare la sua capacità di “apprendere ad apprendere”, e cioè di realizzare quell’apprendimento significativo e consapevole che è il vero obiettivo della scuola di oggi.

RIPENSARSI IN FORMAZIONE: L’AUTOBIOGRAFIA PER GLI INSEGNANTI

Fin ora ho considerato il metodo autobiografico come una pratica da rivolgere a chi entra in formazione, in particolare gli alunni a scuola, individuando le caratteristiche di maggiore pregnanza pedagogica di tale metodologia di cui l’insegnante deve tener conto nel momento in cui intende proporla. Ma prima che per gli alunni l’approccio autobiografico a scuola è particolarmente utile per l'insegnante poiché gli permette di  formarsi formando e di investire di nuovo senso il proprio compito formativo. L'insegnante infatti è chiamato prima degli alunni a ritessere la propria storia personale e professionale dal momento che il processo formativo scolastico,  è una storia scritta a più mani ove si integrano e si influenzano le storie di tutti i partecipanti al percorso, formatori compresi. E’ necessario che questo sia ben chiaro all’insegnante perché non gli è concesso chiamarsi fuori da tali dinamiche. E’ infatti parte integrante della professionalità dell’educatore lo “sporcarsi le mani” con la relazione educativa, mantenendo però ben chiaro e distinto il proprio ruolo senza cadere nella asettica neutralità. La politically correctness, intesa come presa di distanza da qualsiasi coinvolgimento disturbante e non neutrale,  non fa parte del bagaglio del formatore autobiografico. 
L’insegnante infatti che, prima di impegnarsi in una relazione di tipo autobiografico con i propri studenti, ha ripercorso la propria storia di vita è in grado sia di attribuire nuovo senso e nuovo valore al proprio vissuto personale e al proprio lavoro, sia di comprendere più facilmente le storie di vita dei propri studenti confrontando vissuti, passaggi comuni ed elementi di differenziazione10.
Se dunque deve esserci una compromissione del formatore che propone il metodo autobiografico, è  però da darsi acquisito che tutto ciò non lo legittima ad assumere un atteggiamento valutativo nei confronti delle storie di vita emerse durante la formazione autobiografica. Al contrario, avvalersi di tale metodologia comporta anzitutto l’epokè, la sospensione del giudizio, affinché le storie di vita non siano oggetto di inutili e dannosi giudizi di valore. Il compito autobiografico dell’insegnante, pertanto,  deve essere quello di analizzare le storie di vita dei propri ragazzi per stimolarli a raccontarsi e aiutarli a costruire tali storie, per riflettere e comprendere se stessi sia come persone prima che come studenti. L’uso del metodo autobiografico comporta infatti da parte dell’educatore la consapevolezza che fare formazione significa prendersi cura dell’altro e di sé. Mentre ascolta le storie dei propri alunni, infatti, anche l’insegnante si trova inevitabilmente coinvolto in questa trama di significati e ne aumenta le maglie incrociandovi le proprie. Per stare dentro questa particolare relazione e mettere gli studenti a proprio agio, deve aprirsi, deve essere disponibile a parlare di sé, a recuperare i momenti salienti del proprio passato. Per questa ragione è opportuno che chi propone percorsi di formazione con metodi autobiografici abbia egli per primo recuperato la propria storia cosicché sappia anche riconoscere nelle storie degli altri quelle eideticità – concetti ordinatori, essenze – che appartengono alle storie di tutti i soggetti e sappia poi anche cogliere tutti quegli elementi affettivi, le emozioni, i sentimenti inevitabilmente legati ai ricordi11.
Si può dire, a questo punto, che attraverso l’uso del metodo autobiografico, l’insegnamento diventa un’ istanza generativa e riparativa,perché da un lato dà vita ad una relazione educativa insegnante – alunni di tipo qualitativo, aperta al gioco della reciproca soggettività e in grado di favorire la crescita personale e culturale di entrambe le parti in essa coinvolte, dall’altroperché nella relazione educativa con gli alunni l’insegnante è costretto ad impegnarsi in un  lavoro emotivo per modulare ed elaborare le emozioni che tale relazione educativa inevitabilmente produce, facendo i conti con i propri pregiudizi e le proprie difficoltà relazionali, a mettersi in gioco e a recuperare quindi anche quella parte del proprio vissuto che lo ricollega al suo essere in formazione. 
Compito dell'insegnante autobiografo è dunque quello di favorire lo sviluppo di uno spazio riflessivo e conversazionale condiviso sì da promuovere tra gli alunni forme di esperienza individuali e collettive autenticamente vissute e non solamente agite. Questo punto rappresenta un elemento di forte differenziazione fra la formazione autobiografica e quella di modelli analoghi (psicoterapia, ecc.) che pure impegnano la narrazione ma la cui interpretazione fa riferimento a saperi e linguaggi altri, dei quali il titolare è l'esperto e non il narratore. Si tratta, per riprendere un concetto già espresso e caro alla ricerca antropologica ed etnologica, del "primato epistemico" del testimone-narratore sul ricercatore/professionista. Noi tutti del resto abbiamo tanto più imparato con quegli insegnanti verso e grazie ai quali abbiamo sentito di desiderare la relazione educativa. Senza nulla voler togliere alle indiscutibili propensioni cognitive, abbiamo amato o odiato determinate materie con successi e insuccessi, crescita o perdita della fiducia nelle nostre capacità, attraverso il filtro della immagine di colei o colui che ce le hanno proposte. E’ ulteriormente significativo il fatto che delle memorie scolastiche, prima di ogni riferimento alle capacità didattiche più o meno riconosciute degli insegnanti che abbiamo avuto, prevalgano dettagli riguardanti le loro soggettive modalità di disporsi nella relazione e all’ascolto.
Come può l'insegnante acquisire queste competenze autobiografiche? Solo pochi sono oggi i  Italia i corsi di autobiografia riconosciuti come davvero formativi12. Accanto infatti al percorso di rivisitazione della propria storia esistenziale, devono infatti sviluppare nei partecipanti competenze prettamente pedagogiche quali saper interpretare i bisogni educativi e formativi, saper indagare, saper osservare ed ascoltare, saper gestire la complessità, saper lavorare in gruppo e stimolare il lavoro di gruppo, saper animare,  saper essere buoni comunicatori, saper gestire le diversità e le complessità.13
Il formatore autobiografo, infatti, deve essere in grado di incoraggiare nel gruppo che  gestisce  l'autonoma e volontaria narrazione sviluppando un clima relazionale sereno e partecipativo senza forzare le memorie individuali. Soprattutto coloro che svolgono professioni educative sono tenuti a sviluppare tali competenze pedagogiche poiché, dalla loro sensibilità, competenza, senso dell'opportunità, flessibilità e intuizione dipendono i delicati equilibri personali e l'esito dei percorsi formativi di altre persone, siano essi adolescenti che adulti.  

L’INSEGNANTE BIOGRAFO: FUNZIONI E TECNICHE FORMATIVE

Dalle considerazioni sin qui effettuate scaturisce  l’idea dell’ insegnante biografo: una figura funzione tutoriale14 che sappia facilitare i processi di apprendimento degli studenti con una azione che non si limiti a far adattare il bambino prima e il preadolescente poi alla scuola semplicemente costringendolo ad espellere, tramite il lavoro autobiografico, quelle parti di sé che lo ostacolano, ma al contrario che sappia aiutarlo a prendere coscienza dei propri limiti e difficoltà per aiutarlo a superarle. Vista in tal senso l’uso del metodo autobiografico a scuola costituisce un ottimo strumento per aiutare gli alunni a superare quel disagio scolastico, di cui tanto oggi si sente parlare15.
Oggi infatti, molte delle manifestazioni di malessere avvertite dagli studenti,  costituiscono gli inevitabili effetti collaterali di un modo di fare scuola che, a immagine e somiglianza della realtà in cui viviamo, istituzionalizza la separazione artificiale tra i diversi livelli della nostra esperienza e del mondo. La bambina e il bambino a scuola scoprono che il mondo dell’educazione e quello della vita, il corpo e la mente, la ragione e l’emozione, l’operatività e l’astrazione sono, non solo organizzativamente distinti per aree disciplinari bensì anche gerarchicamente considerati16. Questa scissione, se per un verso trova giustificazione nella necessità di un maggior controllo ed efficacia sugli insegnamenti da impartire, di contro contribuisce a creare nella mente dello studente una rappresentazione del divenire dell’acquisizione delle conoscenze senza alcun nesso organico con la complessità percepita del proprio vissuto esistenziale17.
L’insegnante biografo si può rivelare allora come qualcuno capace di ristabilire connessioni tra diversi livelli e saperi: tra le emozioni provate e i contesti comunicativi che le generano, le ostacolano, danno loro un senso,  tra i contenuti e i contesti in cui sono proposti, tra quello che pensa / sente il ragazzo e la ragazza e quello che pensano sentono nelle loro differenze gli altri(insegnanti, familiari, compagni di scuola, amici, il quartiere, ecc.), tra saperi diversi che mostrino la arbitrarietà di certe separazioni e la validità di tutti i saperi e linguaggi.
Per far questo l’insegnante biografo non deve operare alcuna intrusione interpretativa sul racconto del ragazzo, deve solo ascoltare, limitandosi a sottolineare, ad incoraggiare l’investimento di funzioni e di significati, ad indurre la ricerca dei nessi causali e delle attribuzioni di senso, ad attivaree altri punti di vista rispetto ai contenuti che emergono, ad individuare momenti nodali e conflittuali del suo rapporto con i compagni o con lo studio stesso delle discipline. Tutto permette al ragazzo di riconoscersi come il protagonista, quindi il responsabile, colui che costruisce e non subisce il processo formativo che lo riguarda.

Ciò è tanto più necessario quando ci si trova ad avere a che fare con studenti stranieri che necessitano di un aiuto legato non solo all'apprendimento di una lingua nuova, quanto al bisogno di sentirsi accettati e soprattutto di accettare la nuova realtà sociale e culturale nella quale sono immersi. In questo caso le storie personali di vita possono diventare, se correttamente stimolate, una miniera di spunti e di riflessioni sulle diversità culturali, sui conflitti e sulla comunicazione interculturale. L'uso della metodologia autobiografica in ambito interculturale risulta pertanto particolarmente utile a favorire la apertura del ragazzo straniero nella  relazione con i compagni o dell’adulto straniero con il contesto nuovo nel  quale si trova a vivere.

CONCLUSIONI
Nella sua portata più ampia, quindi, l’approccio autobiografico a scuola o nell’educazione degli adulti si pone come un modo diverso di porre in essere il processo di insegnamento. Non è un metodologia, ma una nuova filosofia didattica che, se per un verso finalmente legittima che più parti di noi interagiscano nella vita scolastica o nel processo di formazione, dall’altro reclama una visione a complessa e simbolica dei processi di crescita, acquisizione del sapere e istruzione.
La strategia di questo approccio, consolidatosi nella cultura nord americana e francofona nell’ambito della educazione degli adulti 18, presenta una serie di percorsi e strumenti differenziati volti a mettere lo studente nella situazione facilitante per raccontarsi, nella consapevolezza che ogni racconto chiede di essere ascoltato non solo in quanto portatore di un desiderio di informazione ma anche di trasformazione nella relazione19. Occorre sottolineare, volendo entrare nel merito delle strategie, che non sono comunque le tecniche in sé a costituire il metodo autobiografico, bensì la definizione del contesto e in particolare la  cura delle relazioni fra il formatore e il discente.
L’educazione autobiografica comporta infatti sempre un gioco di sguardi reciproci, capaci di comunicare rispetto, fiducia, attenzione, ascolto, dimensioni relazionali, queste ultime, che hanno un notevole peso nel lavoro autobiografico.   Le parole di sé su di sé del ragazzo costringono infatti l’insegnante biografo a ricercare una “postura pedagogica” fatta di rispecchiamento e testimonianza, di comprensione e accettazione. In tutto questo non c’è nulla di psicologico in senso stretto: non c’è interpretazione, diagnosi, cura ma solo la scoperta che dietro ogni sapere c’è una storia che può essere condivisa e meglio compresa. E’ questo tipo di ascolto e di approccio che permette ad insegnante e studente di “ tras – formarsi” mentre si trasforma la loro relazione.
Dunque, nella prospettiva autobiografica l’attenzione per il setting assume una valenza preponderante. Le possibilità narrative sono fortemente legate alle scelte procedurali: compiti individuali, ad esempio, accentuano la componente prevalentemente introspettiva, il lavoro a coppie invece stimola l’empatia e la riflessione. Nelle esercitazioni in cui è coinvolto tutto il gruppo emergono con più evidenza le differenze, la reciprocità del controllo e la moltiplicazione delle attribuzioni di significato. In tal senso una metafora eccellente da utilizzare per descrivere il setting autobiografico è quella del  “teatro” con cui non a caso il mondo dell’educazione da sempre intrattiene un fertile rapporto. L’aula cioè diventa palcoscenico con i suoi spazi e tempi per l’azione narrativa, le sue luci e ombre, le quinte, il proscenio, il pubblico. Diviene luogo di intreccio di linguaggi, occasione per affrontare la divisione dei saperi. E’ il posto dedicato a far sì che percezioni, sensazioni, immagini, emozioni, rappresentazioni vengano ri-raccontate.

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1 Cfr Elisabetta Biffi, Il metodo autobiografico:da formazione a educazione dell’adulto, Milano, Franco Angeli, 2004 («Adultità», II)

2 Cfr Vincent de Gaulejac, Approche socio-psycologique des histories de vie, Wien, Verband Wiener Volksbildung , 1984(«Education Permanente»); Gian Pineau, Histoire de vie et reconnaissancedes acquis: elementsd’une metodologie collective et progressive, Wien, Verband Wiener Volksbildung, 1986 («Education Permanente»)

3 Cfr Duccio Demetrio,  Raccontarsi. L'autobiografia come cura di sé, Milano, RaffaelloCortina, 1996; Riccardo Massa, Duccio Demetrio, Le vite normali, una ricerca sulle storie di formazione degli adolescenti,  Milano, Unicopli, 1991

4 Cfr Duccio Demetrio, LauraFormenti, La ricerca autobiografica in educazione: dalla teoria alla didattica, in Per una didattica dell’intelligenza. Il metodo autobiografico nello sviluppo cognitivo, Milano, FrancoAngeli, 1995.

5 Cfr Laura Formenti, La formazione autobiografica, Milano, Guerini e associati, 1998.

6 Cfr Michel Foucault, Il pensiero del fuori,  Milano, SE, 1998.

7 Cfr Elisabetta Biffi, Il metodo autobiografico: da formazione e educazione dell’adulto, Milano, Guerini e Associati, 1998 («Adultità») 

8              Cfr Federico  Batini, R. Zaccaria, Per un orientamento narrativo, Milano, FrancoAngeli, 2000

9 Cfr  Ivano Gamelli, A scuola con la propria storia, Milano 1996 («Adultità»); Pierre Dominicè, L’histoire de vie comme precessus de formation, Paris, L’Harmattan, 1990; Gian Pineau, Produire sa vie. autoformation et autobiographie, Montreal, Ediling,  2003.

10 Cfr Igor Salomone., Il setting pedagogico. Vincoli e possibilità per l'interazione educativa, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1997; Bruno Schettini, Il lavoro autobiografico come ricerca e formazione in età adulta, in  Ripensare la formazione, a cura di V.Sarracino, M.R. Strollo, Napoli, Liguori, 2000.

11 Cfr Roberta DeMonticelli, L'ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Milano, Garzanti, 2003.

12 Uno di questi è quello che annualmente si svolge presso la LUA, Libera Università della Autobiografia, di Anghiari, fondata da Duccio Demetrio e Saverio Tutino.

13 Cfr DuccioDemetrio, Autoanalisi per non pazienti, Inquietudine e scrittura di sé, Milano, Raffaello Cortina,2003.

14 Cfr Laura Formenti, La figura del tutor nella relazione educativa: esperienza di ricerca formazione, in Documentazione IRRSAE Lombardia, Milano 1994.

15 Cfr Valeria Biotti, Maria Elena Vito, Il disagio degli adolescenti, valutare gli interventi, valutare le politiche, Roma, CSR, 2006.

16 Cfr David Golemann, Intelligenza emotiva,  Milano,  Rizzoli, 1996.

17 Cfr Silvia Kanizsa, Che ne pensi? L’intervista nella pratica didattica, Roma 2000 («NIS») .

18 Cfr Duccio Demetrio, L'educazione interiore. Introduzione alla pedagogia introspettiva, Scandicci, la Nuova Italia, 2000.

19 Cfr Umberto Galimberti, Attenti ai ragazzi che non sognano, in La Repubblica, 28/5/1996.

 

 

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