RIVISTA INTERNAZIONALE di EDAFORUM
ANNO 8/ N. 19 - Febbraio 2012 - Identità e ruoli di genere, orientamenti sessuali e lifelong learning
ISSN: 2279-9001
 

INDICE

 

 

 

 

MONOGRAFICO

Lettera all'editore: modelli dell'identità sessuale: tra natura e
cultura

Di Stefano Federici e Fabio Meloni

Italian Abstract

Scopo di questo intervento è quello di contribuire al dibattito sul costrutto di identità sessuale, evidenziando l’esistenza di più di un modello dell’identità sessuale e, dunque, di differenti spiegazioni non solo e non tanto sulla formazione dell’identità sessuale stessa ma, più in generale, sulle dinamiche e sullo sviluppo della più ampia dimensione della sessualità umana. Verranno presentati e discussi due modelli di identità sessuale: il primo, da noi denominato dell’identità-biopsicosociale, distingue all’interno della totalità di una persona i costrutti biologici dell’identità sessuale dai costrutti psicologici; il secondo, denominato dell’identità-comportamentale, definisce l’identità sessuale come l’esito ontogenetico dei comportamenti sessuali dell’individuo attraverso i quali egli costruisce la propria immagine di sé sessuato che include le dimensioni di identità di genere, ruoli di genere e orientamento.

English Abstract

The purpose of this Letter is to contribute to the debate on the construct of sexual identity, highlighting the existence of more than one model of sexual identity and, therefore, not only of different explanations on the formation of sexual identity itself but, more generally, the dynamics and the development of the wider dimensions of human sexuality. It will be presented and discussed two models of sexual identity: the first, which we call the biopsychosocial-identity, distinguishes between biological constructs of sexual identity and psychological constructs within the totality of a person; the second, namely the behavioural identity, defines sexual identity as the result of ontogenetic sexual behavior of the individual including the dimensions of gender identity, gender roles and orientation through which one builds his/her own sexual self-image.


Egregio Editore,

Siamo stati certamente attratti dall’invito che Lei ci ha rivolto sia perché il titolo di questo numero della rivista, L’identità sessuale e il lifelong learning, tocca argomenti che sono stati lungamente trattati nella nostra ricerca sull’identità sessuale (p.e.: FEDERICI, 2001°, 2001b, 2002, 2003; FEDERICI, OLIVETTI BELARDINELLI, 2001; MELONI, MELE, FEDERICI, 2010, 2011°, 2011b; OLIVETTI BELARDINELLI, BRUNETTI, FEDERICI, 2002; OLIVETTI BELARDINELLI, FEDERICI, 2004; OLIVETTI BELARDINELLI, LO PRIORE, et al., 2002), sia perché il modo in cui lei ha declinato l’invito sulla tematica dell’identità sessuale, ricalcando la tendenza probabilmente maggioritaria all’interno degli studi in quest’area, è stato quello di includere all’interno di essa le “tematiche relative all’identità di genere e all’orientamento sessuale”. È a questo punto che ci siamo fermati nel redigere un articolo scientifico che riportasse gli esiti delle ricerche da noi svolte a riguardo per soffermarci, piuttosto, a riflettere sul significato di identità sessuale, ritenendo che questo meritasse già di per sé un’attenzione particolare. La ragione di questa nostra lettera è dunque quello di sollecitare presso la Sua rivista un dibattito sui modelli che informano la definizione di identità sessuale e come questi si declinano in differenti progetti formativi e educativi.

Modelli di identità sessuale

Chiunque desiderasse approfondire una definizione di identità sessuale si troverebbe di fronte ad almeno due modelli interpretativi (WIKIPEDIA CONTRIBUTORS, 2011). Uno, che chiameremo dell’identità-biopsicosociale, distingue all’interno della totalità di una persona i costrutti biologici dell’identità sessuale dai costrutti psicologici (identità di genere) e sociali (ruolo di genere) (MONEY, 1976, 1990; MONEY, EHRHARDT, 1972; SIMONELLI et al., 2006; VAN DOREN, 2011). Con il termine identità sessuale, nello specifico, ci si riferisce quindi ai fattori biologici e anatomo-fisiologici della femminilità o della mascolinità di un individuo, ossia ai cromosomi sessuali, alle gonadi, alla componente neuro-endocrina, alle strutture riproduttive accessorie interne e agli organi sessuali esterni. Il modello dell’identità-biopsicosociale considera il riconoscimento dell’identità sessuale come l’avvio di un processo esistenziale attraverso il quale l’individuo matura una propria identità personale psicologica e sociale attraverso continue auto-rielaborazioni. Pertanto, l’identità sessuale, che caratterizza anche l’aspetto somatico socialmente riconoscibile del sesso di un individuo, si distingue nettamente dalle altre dimensioni della sessualità umana, ossia da quelle che emergono dai processi transazionali attraverso i quali la persona costruisce una propria soggettiva identità di genere assumendo comportamenti negoziati con i ruoli sociali (ruoli di genere) attribuiti al sesso di appartenenza. Data la natura differente dei costrutti e dimensioni che caratterizzano la totalità sessuale di una persona, l’identità sessuale biologicamente data e l’identità di genere socialmente negoziata e psicologicamente maturata, non sono coincidenti se non per quel processo di maturazione psicosessuale attraverso il quale un individuo costruisce la propria identità di genere (ROGERS, 2000).

Un altro modello, che chiameremo dell’identità-comportamentale, definisce l’identità sessuale non come una dimensione distinta da quella di genere, ruoli di genere e orientamento, ma come l’esito ontogenetico dei comportamenti sessuali dell’individuo attraverso i quali egli costruisce la propria immagine di sé sessuato (WHO, 2006). Secondo questo modello, l’orientamento sessuale assume un’importanza decisiva nella definizione della propria identità sessuale:

‹‹Sexual identity is the overall sexual self identity which includes how the individual identifies as male, female, masculine, feminine, or some combination and the individual’s sexual orientation. It is the internal framework, constructed over time, that allows an individual to organize a self-concept based upon his/her sex, gender, and sexual orientation and to perform socially in regards to his/her perceived sexual capabilities›› (PAHO, 2000, p. 7). Secondo questo modello, certamente sostenuto dalle organizzazioni internazionali della sanità, e che sembra sottostare alla call del numero di questa rivista, l’identità sessuale è l’insieme delle caratteristiche biologiche, ormonali, anatomo-fisiologiche, culturali, pulsionali e affettive che informano il comportamento dell’individuo e le transazioni sociali. Per questa ragione l’identità sessuale assume i connotati di uno schema comportamentale (script culturale) attraverso cui sé e gli altri sono riconosciuti. Come uno script culturale (GODDARD, WIERZBICKA, 2004), l’identità sessuale costituisce una rappresentazione mentale, socialmente condivisa, di una sequenza di azioni e di interazioni, di valori e norme che si susseguono in modo simile e comparabile nel tempo e che si associano a vissuti emotivamente connotati. L’identità sessuale è allora una linea-guida da seguire nella propria interpretazione e spiegazione di eventi e dei propri comportamenti. In base a questo schema di sé e degli altri, culturalmente codificato, l’individuo sa come agire e come rispondere emotivamente seguendo le norme e i valori della gruppo sociale di appartenenza (ANOLLI, 2004). Si comprende allora il perché all’interno di questa definizione assuma un ruolo rilevante l’orientamento sessuale se per questo si intende il comportamento sessualmente orientato (GROLLMAN, 2010).

Così definiti i due principali orientamenti ermeneutici dell’identità sessuale, desideriamo elencare quali, a nostro avviso, sono gli elementi di forza dell’uno e dell’altro modello.

I vantaggi del modello dell’identità-biopsicosociale

  1. Il modello dell’identità-biopsicosociale permette un uso univoco e comparabile di identità sessuale in tutto il mondo biologico date le caratteristiche universali dell’identità sessuale (VAN DOREN, 2011). Infatti, l’identità sessuale secondo questo modello è data dalla combinazione di fattori biologici universalmente condivisi dal mondo animale, a differenza del modello dell’identità-comportamentale secondo il quale l’identità sessuale essendo determinata anche da fattori culturali può essere difficilmente comparabile con quella animale e culturalmente determinata.
  2. Corollario alla precedente considerazione sui vantaggi dell’identità sessuale secondo il modello dell’identità-biopsicosociale è il vantaggio dell’univocità di senso del concetto di identità sessuale in ambito scientifico che favorisce uno scambio interdisciplinare. Questo scambio interculturale assume oggi un particolare rilievo soprattutto all’interno del dibattito relativo alle origini dell’orientamento sessuale che mutua concetti e scoperte dalle ricerche in ambito etologico e genetico (CAMPERIO CIANI, 2004).
  3. La distinzione dei due costrutti di identità sessuale e identità di genere consente di meglio comprendere i disturbi dell’identità di genere, come il transessualismo, nel quale l’accettazione del proprio sesso biologico (identità sessuale) risulta psicologicamente problematica (identità di genere). Il vantaggio di questo modello trova riscontro nei criteri diagnostici del DSM-IV (AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION, 2002).
  4. Il modello dell’identità-biopsicosociale spiegherebbe perché le configurazione dell’identità sessuale in soggetti transessuali risulta invariata anche in soggetti che hanno fatto il cambiamento di sesso (OLIVETTI BELARDINELLI et al., 2004). Infatti, secondo ricerche condotte da Olivetti Belardinelli attraverso un test semiproiettivo per la misurazione delle configurazioni dell’identità sessuale profonda (OLIVETTI BELARDINELLI, 1982), le persone che hanno fatto il cambio di sesso manifestano profili di identità sessuale più simili al sesso di partenza (prima dell’intervento chirurgico) che a quello di arrivo (dopo l’intervento chirurgico).
  5. Secondo Galimberti la perversione è concepibile solo qualora alla persona si riconosca un’identità sessuale: «Come si potrebbe parlare di perversione senza un concetto di identità sessuale?» (GALIMBERTI, 1987). Tuttavia, quanto sostenuto da Galimberti è comprensibile soltanto qualora l’identità sessuale di cui parla «sia coincidente con un modello che, conferendo l’identità ad ogni soggetto, consente di indicare le modalità del suo accesso all’ordine sociale, giuridico, istituzionale e di giudicarlo, sempre in rapporto al modello, come mancante, colpevole, deviante, perverso» (GALIMBERTI, 1987). Risulta chiaro, allora, che secondo l’autore l’identità a cui si sta riferendo è quella definita dal modello dell’identità-comportamentale. Al contrario, nel modello dell’identità-biopsicosociale le c.d. perversioni sessuali non possono riferirsi all’identità sessuale che, in quanto biologicamente determinata, non è moralmente connotabile, ma all’identità di genere, ossia al vissuto psicologico e comportamentale dell’individuo che può agire la propria sessualità in modo “perverso”. Il vantaggio che a riguardo apporta il modello dell’identità-biopsicosociale è quello di sottrarre al giudizio dell’ordine sociale, giuridico e istituzionale identità culturalmente ritenute abnormi, come quelle delle persone nate in stati di intersesso (per casi di intersesso si intende una varietà di condizioni nelle quali una persona è nata con una anatomia riproduttiva o sessuale che sembra non coincidere con la definizione tipica di maschio o femmina – http://www.isna.org/faq/what_is_intersex) (BACKETT-MILBURN, MCKIE, 2001; DIAMOND D. A. et al., 2006; DIAMOND M., SIGMUNDSON, 1997).

I vantaggi del modello dell’identità-comportamentale

  1. Un vantaggio del modello dell’identità-comportamentale è sicuramente quello di poter sottolineare le dimensioni diacroniche, fenomenologiche e narrative dell’identità sessuale. Un individuo accede alla propria identità sessuale attraverso la negoziazione di significati che mutua dagli scambi sociali e culturalmente determinati. In questo senso l’identità sessuale non è data secondo natura ma è esperita, non è un qualcosa che è all’origine ma al termine di una conquista personale.
  2. Il modello dell’identità-comportamentale, inoltre, ha il vantaggio di integrarsi all’interno del paradigma dominante nell’ambito delle scienze sociali denominato Standard Social Science Model (TOOBY, COSMIDES, 1992). Secondo questo modello, come lo definisce Durkheim (1895/1962) le rappresentazioni collettive, le emozioni e le tendenze sono causate non da certi stati della coscienza degli individui, ma da condizioni nelle quali il gruppo sociale, nella sua totalità, è posto. Ne risulta che l’individuo è una materia indeterminata che i fattori sociali plasmano e trasformano. Non c’è nella di innato nell’individuo che possa predeterminare o influire sui complessi fenomeni sociali. Per il modello dell’identità-comportamentale, l’identità biologica della sessualità di un individuo è comprensibile soltanto all’interno di comportamenti sessuali che danno all’individuo la possibilità di riconoscersi psicologicamente e socialmente con una propria identità sessuale. Questo spiegherebbe molto bene perché l’identità sessuale in un caso di intersesso avviene attraverso l’attribuzione di una identità di genere maschile o femminile che la comunità umana, secondo parametri culturali, attribuisce all’abnormità di un indefinita identità intersessuata. L’identità sessuale è qui un’attribuzione sociale che ha ben poco a che fare con il dato di natura (FEDERICI, 2003; HIRD, GERMON, 2001; HOLMES, 2002; OLIVETTI BELARDINELLI et al., 2004). Studi etnometodologici sulla costruzione medica del sesso (KESSLER, 1990; KESSLER, MCKENNA, 1978) analizzando casi di bambini intersessuati sui quali la scienza medica interviene per correggere l’ambiguità genitale dei neonati in modo che si conformi ad una dicotomia di genere culturalmente evidente, indiscutibile, dimostrano come anche l’identità biologica è di fatto una costruzione sociale: ‹‹Physicians conduct careful examinations of intersexed infants’ genitals and perform intricate laboratory procedures. They are interpreters of the body, trained and committed to uncovering the ‘actual’ gender obscured by ambiguous genitals. Yet they also have considerable leeway in assigning gender, and their decisions are influenced by cultural as well as medical factors›› (KESSLER, 1990, p. 24). Un essere umano non ha possibilità di essere gettato nel mondo se non come maschio o come femmina. In realtà, però, almeno dal punto di vista delle caratteristiche biologiche, l’identità sessuale è certamente più varia della mera polarità socialmente riconosciuta di maschio-femmina. Secondo quanto sostenuto da Laqueur (LAQUEUR, 1990), anche la struttura binaria del sesso è una struttura non della realtà, ma della conoscenza, che i soggetti impongono ad un mondo fatto di gradazioni continue di differenze e somiglianze (FEDERICI, 2003).
  3. Il modello dell’identità-comportamentale risulta assai vantaggioso nel sostenere il diritto ad una vita sessuale delle persone disabili (STELLA, FEDERICI, MELONI, 2011) in quanto un sano sviluppo sessuale è perseguibile soltanto qualora si riconosca ad ogni individuo, disabile e non, il potere di vivere la propria identità di genere: ‹‹To be sexual is far more than a matter of physiology and sexual activity. Being sexual is very much about who we are, what we feel, what we value, what we think, and what we desire. […] Programmes must consider which cultural practices, traditions, beliefs and values are beneficial and promote sexual health. Factors such as sexual orientation, illness, culture, age or disability must be taken into account in the design of programme interventions and services›› (WHO, 2006, pp. 6, 20). In una indagine condotta in diversi centri italiani che accolgono persone con disabilità, sulla modalità di riconoscimento, accoglienza ed educazione della sessualità, vale a dire, sulle influenze socioambientali nello sviluppo della sessualità di persone disabili in Italia si è evidenziato come nei centri d’accoglienza delle persone disabili, siano essi pubblici o privati, religiosi o laici, e nelle stesse famiglie di figli con disabilità, il problema dell’educazione sessuale rimanga, per così dire, latente, sommerso e come, perciò, esso non rientri nelle finalità esplicite del progetto educativo dei medesimi (FEDERICI, 2002; MELONI et al., 2011°, 2011b). Il modello dell’identità-comportamentale può certamente favorire il richiamo ad una questione urgente e sempre attuale della vita sessuale delle persone disabili, promuovendo l’elaborazione di progetti formativi per professionisti che operano con persone disabili e genitori affinché si abbattano quelle barriere culturali che impediscono alle persone disabili di riconoscere ed esprimere i propri desideri sessuali, secondo il proprio orientamento al fine di maturare una identità sessuale sana e salutare. Ben compresa all’interno di questo modello, la maturazione di un’identità sessuale può costituire un processo di empowerment della persona disabile.


Conclusione

Al termine dell’esposizione delle caratteristiche e dei vantaggi dei due differenti modelli interpretativi dell’identità sessuale, ci auguriamo che questa nostra lettera possa contribuire all’apertura di un dibattito sui modelli formativi e pedagogici che possono scaturire dai due differenti approcci all’identità sessuale da questa comunità scientifica da lei rappresentata in qualità di Editore. Abbiamo cercato di contribuire a questo dibattito sul costrutto di identità sessuale, evidenziando ciò che spesso le diverse discipline che se ne occupano a livello scientifico sembrano ignorare, ovvero l’esistenza di più di un modello dell’identità sessuale e, dunque, di differenti spiegazioni non solo e non tanto sulla formazione dell’identità sessuale stessa ma, più in generale, sulle dinamiche e sullo sviluppo della più ampia dimensione della sessualità umana. A partire dai vantaggi che ciascun modello può offrire in relazione ai fenomeni a cui ci si accosta, e che qui sono stati delineati, a noi pare un obiettivo rilevante, all’interno di un dibattito stesso, che ogni studio o ogni indagine che tenti di far luce sui meccanismi della sessualità umana, così come ogni intervento educativo o terapeutico nello stesso ambito, espliciti sempre le premesse da cui muove, ovvero dichiari il modello di identità sessuale su cui è fondato lo studio o l’intervento stesso. La ragione di ciò non sta semplicemente nella possibilità di favorire una validità multidisciplinare all’interno della comunità scientifica, per quanto già questo si configurerebbe come un risultato non di poco conto. Piuttosto, partiamo dalla convinzione che in un’epoca di globalizzazione anche del sapere, di confronto tra discipline differenti in contesti sociali, ambientali e culturali molto diversi, ciò che conta scientificamente non sia tanto l’univocità delle premesse ovvero delle variabili oggetto di studio o di intervento, quanto l’affermazione del principio che siano l’oggetto di studio e il suo contesto a determinare la definizione stessa delle variabili in campo. Non dunque una pretesa di ridurre il pluralismo “democratico” degli approcci ad un regime “monarchico” assolutistico nel quale un modello “vince” sempre sugli altri ma, al contrario, l’affermazione che più modelli possano coesistere a patto di renderli espliciti e, pertanto, oggetti e soggetti di dialogo. Ciò potrebbe contribuire sia alla chiarezza del discorso scientifico, sia alla confrontabilità multidisciplinare, sia alla riduzione della confusione e dell’indeterminatezza che non di rado si riscontrano nei processi educativi e trasformativi nell’ambito della sessualità umana.

 

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