RECENSIONI
Educazione e politica
di Piero Bertolini
Nel 1975, in alcune note a margine di un convegno sui temi del Diritto allo Studio e politiche regionali, Raffaele Laporta sottolineava l'importanza e la necessità di perseguire una "democrazia educativa", di concepire il "lavoro educativo e pedagogico" come "unica autentica politica da farsi": un impegno per la formazione dell'uomo "capace di essere se stesso, non decondizionato, ma ricondizionato, a conoscersi e a valersi delle proprie forze, e ad associarsi con le altre forze, trasformando così l'educazione in politica, in costume politico" (Laporta R., Bolino G., Benadusi L., 1975)
. L'attualità di queste parole è forte: cambia il contesto storico, cambiano almeno in parte i riferimenti istituzionali contingenti, ma permane oggi la necessità di una riflessione sulle responsabilità della pedagogia e delle scienze dell'educazione e sul loro configurarsi come scienze di sviluppo e di emancipazione, in un momento caratterizzato da crisi della politica e dell'educazione.
La pedagogia, e in particolare la pedagogia sociale si occupa, si potrebbe dire necessariamente, di politiche educative , di strategie e politiche volte a promuovere sostenere la formazione, l'educazione del cittadino. In tal senso il termine "politico" sembra riferirsi ad una dimensione tecnico-operativa, all' azione della politica. Ma, se come sostiene Morin, "più la politica diventa tecnica, più la competenza democratica regredisce" (Morin E., 2000), diventa prioritario interrogarsi su come intendere o come (ri)definire la politica e il suo rapporto con l'educazione. Il volume di Bertolini, proprio a partire da una problematizzazione del termine, ne consente una visione prospettica e richiama una definizione di "politica" che possa esprimere sia il piano delle finalità, che dovrebbero comunque qualificare le azioni, sia il piano delle modalità con cui la funzione gestionale, pur sempre appannaggio della politica, viene o può essere svolta.
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Affrontare un'analisi della crisi della politica, della partecipazione critica e democratica alla politica, e della crisi dell'educazione, della sua funzione normativa trasformatrice ed emancipatrice, in grado di offrire risposte o meglio ancora strumenti per affrontare le nuove sfide che la complessità e la globalità della società attuale pone, comporta l'individuazione delle specifiche responsabilità, ma anche la definizione delle correlazioni e, soprattutto, delle possibili sinergie tra questi due ambiti del vivere sociale. Comporta il recupero del loro stretto rapporto originario per promuovere e sostenere una capacità di pensare e agire politicamente come soggetti criticamente consapevoli.
Sullo sfondo del paradigma fenomenologico, Bertolini porta avanti un'analisi della realtà contemporanea, che paradossalmente appare dilatata e annullata nello spazio e "ristretta" nel tempo. Un "mondo che è dappertutto, ma da nessuna parte" , dove il senso di appartenenza a una comunità si perde e con esso rischia di perdersi la capacità del cittadino di sentirsi partecipe delle istanze, non solo culturali della propria comunità. Una mancanza di "appartenenza" che impedisce di sentirsi responsabili e disponibili ad assumere un ruolo attivo nella gestione politica, e che rende anzi incapaci di reclamare tale ruolo con forza, a tutti i livelli. Nel mondo attuale l'attenzione sembra concentrarsi sul presente e sul "tempo privato": si assiste ad una "amplificazione del presente" che, nel modo di intendere e attuare la politica, si traduce in un'operazione di seduzione degli individui per chiuderli o emarginarli "in un 'presente' dal piccolo respiro o dal prevalere di modesti interessi". Una condizione che può determinare la nascita di pseudobisogni o di falsi interessi considerati tuttavia come traguardi irrinunciabili da soddisfare, da raggiungere, unici obiettivi validi da perseguire mentre si perde la prospettiva del futuro, trasformato in una dimensione irrealistica, astrattamente o falsamente utopica, di cui non si è responsabili, la cui realizzazione è prerogativa di altri, di chi ha nelle mani il potere. E a questi si delega.
Da qui la fuga nel "tempo privato" o comunque dallo "spazio pubblico": una fuga non necessariamente connotata negativamente, ma anche potenzialmente positiva e costruttiva, a patto di diventare consapevoli delle sue implicazioni politiche. All'amplificazione del presente e alla considerazione egoistica ed egocentrica dei propri bisogni, alla radicale indifferenza per tutte le questioni che possono essere ricondotte alla necessità di dare un senso alla propria e all'altrui esistenza, sembra contrapporsi infatti una forma diversa di fuga, che ha le caratteristiche di un rifiuto non del significato e del valore che ha occuparsi dell'altro da sé, ma del modo in cui questo sembra essere fatto. E' una fuga dal politico, in quanto esperienza negativa di comportamenti che negano o non hanno più valori da sostenere, nel tentativo di trovare risposte individuali o di gruppo, ma comunque "private", per dare un senso al proprio essere-nel-mondo, attraverso la cura dell'altro. Il volontariato sociale, le manifestazioni per la pace, l'impegno per la difesa dell'ambiente: sono queste, secondo Bertolini, le espressioni del "tempo privato" da sostenere e su cui riflettere per individuare possibili linee di intervento per ridefinire la politica e il suo rapporto con l'educazione. Si rende necessario tuttavia fornire chiavi di lettura diverse di queste manifestazioni, che non ne accentuino la dimensione di rifiuto, ma quella di possibile alternativa per una riscoperta della soggettività umana intesa come "strutturale capacità di dare un senso (molteplici sensi) alla realtà", realtà che è "essenzialmente relazionistica, dal momento che l'esistere dell'Io non è neppure pensabile senza il riferimento a ciò che sta fuori di esso e, in particolare, all'altro da sé". Questo pensare fenomenologico , che determina lo sviluppo della propria soggettività in termini di autonomia di pensiero e nel contempo comporta una riconquista dell'intersoggettività e di un livello comunitario, deve diventare consapevolezza della dimensione politica nella quale comunque si esplica.
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"Il tempo privato in cui si sforzano di vivere tutte quelle soggettività che sono consapevoli della necessità morale di essere-nel-mondo-con-gli-altri e di dare un senso al proprio esistere, non può essere legittimamente considerato alternativo al tempo pubblico inteso come tempo politico, e neppure disgiungibile o separato da quest'ultimo" : i comportamenti positivi verso l'altro hanno un significato politico che, come tale, deve essere speso. Sono comportamenti che non devono trovare esplicitazione solo in un sentire insieme, ma devono andare oltre il livello emotivo-affettivo, strutturandosi a livello razionale per individuare le vie più valide e convincenti per risolvere i problemi da cui sono scaturiti, in forme consapevolmente e responsabilmente costruttive. Il rifiuto polemico della politica si deve trasformare in una capacità di ridefinire la politica in termini, modi e forma diverse da come questa è stata realizzata nel nostro tempo, per poi perseguirla con decisione, al fine di poter rivendicare per sé e per gli altri una qualità della vita migliore e, soprattutto, il senso della responsabilità sociale come cittadini.
Come e in che misura indurre un avvicinamento alla politica per la costruzione di una politica diversa, resta un problema aperto, sul quale può e deve esprimersi l'educazione. Educazione intesa come ambito esperenziale, costitutivo dell'esistere dell'uomo, indispensabile per la stessa sopravvivenza del genere umano: un'educazione che si innesta e si integra al quel processo conoscitivo, processo formativo che è dimensione naturale dell'uomo, che nel tempo ne ha garantito la sopravvivenza. Educazione come inculturazione e acculturazione insieme nella logica della comunicazione: "è infatti solo nella possibilità di comunicare reciprocamente le proprie scoperte . e di trasmetterle ai nuovi membri di una comunità . che gli uomini sono stati in grado e . saranno in grado di risolvere positivamente i loro problemi esistenziali" . Comunicazione interpersonale e trasmissione culturale sono quindi alla base di un'esperienza educativa che è sempre sistemica, caratterizzata da una serie di strutture costitutive che l'Autore riconduce essenzialmente ai concetti di reciprocità, irreversibilità, possibilità, socialità, asimmetria.
Se è abbastanza evidente il modo in cui la politica può agire sull'educazione, sia in senso democratico di riconoscimento del suo valore fondamentale come fattore di sviluppo, sia in senso strumentale per la conservazione del potere, non si può non riconoscere l'indubbia valenza politica del discorso educativo e anche pedagogico, in quanto ambito di riflessione che non può essere neutrale: perché caratterizzato intrinsecamente da una sorta di istanza di rottura verso qualsiasi situazione politica che sia portatrice di offuscamenti e di contraddizioni; perché nel contempo, responsabile della formazione di cittadini sensibili e con competenza politiche adeguatamente convincenti.
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E' nel concetto di cittadinanza, propone Bertolini, che può trovare concretezza l'incontro tra educazione e politica: un concetto problematico, il cui contenuto è inequivocabilmente educativo, in quanto condizione non data, ma conquistata, e nel contempo politicamente connotata perché ha bisogno di essere affermata, di trovare espressione attraverso la partecipazione alla vita della comunità sociale.
La dimensione della partecipazione, parallelamente alla gestione democratica della "cosa pubblica", richiama un dibattito pedagogico che ha radici nel tempo. Negli anni Settanta, quando il concetto di "comunità educativa" rappresentava un elemento di riferimento essenziale per le prospettive di trasformazione delle istituzione educative in senso democratico, attraverso la definizione di forme di partecipazione sociale a partire dai decreti delegati del 1974, Vincenzo Sarracino, individuando le possibili linee teoriche, metodologiche e strutturali di sviluppo del Distretto Scolastico, parlava di gap tra domanda sociale e risposte educative, prospettando una soluzione possibile nell'educazione permanente e nella programmazione-gestione territoriale del sistema educativo (Sarracino V., 1977),
Sulla stessa linea, per un riavvicinamento tra istituzioni e popolazione, tra comunità locale ed educazione, in una prospettiva di educazione permanente e di approccio territoriale ai bisogni di apprendimento e formazione anche Bertin, Frabboni, Orefice.
Oggi la crisi sembra più evidente, più stridente l'allontanamento dalla cosa pubblica da parte dei cittadini, che cittadini rischiano di non essere più, se non si riappropriano di quella dimensione partecipativa che ogni democrazia deve promuove e sostenere. Il diritto/dovere alla cittadinanza deve trovare spazi di costruzione e di espressione: a partire dalla scuola, ma non solo. Bertolini infatti problematizza questa nuova cittadinanza che deve trovare uno "spazio pubblico" nel mondo globale, sottolineando l'importanza di una significative e "sensata" educazione alla cittadinanza: per tutti, in una concreta dimensione di educazione permanente; perseguita in tutti i setting educativi, nello sforzo di coniugare gli spazi di apprendimento, scolastico ed extrascolastico, formale e non formale, nella consapevolezza che il processo di formazione va oltre la dimensione scolastica e coinvolge le responsabilità di istituzioni sociali ed enti locali; attenta comunque alla dimensione scolastica, perché soprattutto per i soggetti in età evolutiva, educazione alla cittadinanza deve significare acquisire gli strumenti per una lettura autonoma e critica del presente in cui vivono.
Un invito alla riflessione sicuramente destinato a insegnanti, educatori, operatori, ma anche ad amministratori e politici che dovrebbero costantemente ripensare criticamente non solo al proprio ruolo, ma anche allo spazio e alla considerazione per le diverse espressioni politiche, per le diverse manifestazione del diritto di cittadinanza che è loro compito offrire e promuovere nei cittadini. Educazione alla cittadinanza diventa, per Bertolini, un educare a pensare e ad agire politicamente: offrire la consapevolezza, ma anche la possibilità di esprimere il proprio diritto/dovere di poter incidere sulla gestione politica della società di appartenenza. E questo deve avvenire a livello territoriale, ma anche nazionale e in una prospettiva di politica internazionale, che non può non partire dal riconoscimento in una cittadinanza europea.
Giovanna Del Gobbo
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
- Laporta R., Scuola e condizionamento sociale , in Laporta R., Bolino G., Benadusi L., (1975), Diritto allo studio e politica regionale , Teramo, Giunti & Lisciani
In tal senso, all'interno del volume La Pedagogia Sociale. Prospettive di indagine , curato da Vincenzo Saracino e Maura Striano per le edizioni ETS, sono molti i contributi che richiamano il forte legame tra dimensione politica e educazione, tra politica e pedagogia sociale, per valore che quest'ultima può avere (e forse deve) come volano di sviluppo e "metafora emancipatrice", come suggerisce Simonetta Ulivieri. L'espressione "politica educativa", viene utilizzata da Piero Bertolini, proprio per indicare uno dei principali "oggetti di riferimento" della pedagogia (Bertolini P., La pedagogia Sociale: linee di interpretazione , pp. 125-128)
- Morin E., (2000), La testa ben fatta , Milano Cortina, pag. 10
Bertolini propone come emblematica questa definizione di Paul Verilio (presente nel testo di Matilde Callari Galli, 2000, Antropologia per insegnare , Milano, Bruno Mondatori), per suggerire una lettura del mondo contemporaneo caratterizzato e trasformato da due fenomeni, le migrazioni e il sistema di comunicazione, che dilatando lo spazio esperienziale e operativo del soggetto, rischiano di annullarne l'efficacia in assenza di strumenti critici di pensiero e di azione.
- Sarracino V., (1977), Il Distretto Scolastico. Linee teoriche, strutturali e metodologiche , Napoli, Ferraro